sabato 29 agosto 2009

Jeans

Forte, resistente per fisica natura, temerario per consistenza, morbido e rassicurante all'occorrenza, immortale d'animo. Non è la descrizione dell'uomo perfetto, è ciò che penso del mio capo preferito.

Difficilmente una donna partirebbe senza il jeans preferito in valigia, e non sono solo le star o presunte tali, intervistate da Vanity Fair a dirlo, lo pensiamo tutte e ci crediamo fermamente.

Il punto è che quando lo indossiamo, ci sentiamo bene! Irresistibili e naturali, sexy e sportive, siamo contemporaneamente le mille donne che vorremmo essere e questo ci fa sentire meravigliosamente!

Ora, io non posso vantarmi di avere l'assoluta certezza di non dire un mucchio di stupidaggini e nemmeno la certezza che il mio pensiero sia totalmente immune e incondizionato da tv-giornali-moda al femminile...perchè ovviamente non è così, ma io li adoro. E' il capo di abbigliamento più intramontabile della storia, non riesco a liberarmene, traslochi, cambi di guardaroba, cambi di taglia, stretti, larghi, vita alta o bassa, non fa niente, li tengo tutti, disfarmene sarebbe come gettare il mio primo diario segreto!

Iniziai ad amarli da ragazzina, la mia prima vera denim-love story fu senza dubbio con Levi's, strettissimi, a vita bassa (o almeno questo quello che si credeva all'epoca) ma un po' più larghi in fondo, portati con i Dr. Martens erano fantastici! Il fidanzamento è durato molti anni, fino a quando non ho iniziato a dubitare del brand, a trovarlo superato e poco attuale e cioè fino a quando l'attività di marketing Levi's è stata letteralmente mangiata da altri più bravi in sostanza. Anni di sbandamento, di amore folle e non corrisposto per Diesel, di improbabili Take-Two, di Pinko per consolazione, insomma, storielle da poco.

Poi, proprio come nella vita, dopo un po' di uscite inutili con persone sbagliate, arriva quella giusta: incontrai Meltin' Pot e fu subito amore. Costosi il giusto, lavaggi classici, mai eccessivi nello stile, comodissimi, ampia scelta di tagli, tinte, modelli e tessuti. Essenziali e insostituibili, con scarpe da ginnastica, stivali, ballerine o tacco alto, Ugg, Hunter o qualsiasi altra diavoleria la moda si sia inventata in questi anni (lo so, non è colpa della moda, è colpa mia che ci casco, sempre). Tanti i modelli che ho comprato, Mendel non elasticizzato, resta il preferito del mio harem. E' sempre perfetto per lo stile che ho sposato e cioè versatile, un po' “4ever teen”, un po' sexy all'occorrenza, nè troppo stretto nè troppo largo, sbiadito al punto giusto. Incredibile quanto un capo inanimato possa cambiare la mia giornata, sentire il profumo di pulito dei miei Mendel appena indossati è una di quelle cose che può mettermi di buon umore all'istante!

Eppure... in tempi di crisi dei beni di consumo, non sanno più cosa inventarsi e anche ai jeans si applicano sconti impensabili prima e subdoli, come ogni tentazione. Castaldini in questi giorni fa sconti che risvegliano in me l'istinto del “che affare” e... galeotta l'occasione, ho comprato un paio di Dek her, sconosciuti e affascinanti, dal taglio semplicemente geniale. Mi sento in colpa come la peggiore delle fedifraghe ma ho il ghigno soddisfatto di chi ha appena preso una cotta perchè... mi piacciono da pazzi!

Quello che mi chiedo ora è: sarà una scappatella di una notte o qualcosa di più serio??

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sabato 22 agosto 2009

My NYC

In giornate come queste mi verrebbe voglia di salire in macchina, direzione Malpensa, prendere il primo volo, destinazione New York, uscire dal Kennedy, salire sul primo taxi giallo e chiedere al tassista che tempo ha fatto ultimamente. Non starei via per tanto, giusto per un paio di giorni, il tempo di respirare un po' di tremendo smog mescolato ad energia e speranza pura. Lo smog di New York non fa poi così male! E' lì che mi ritrovo, anche solo con il pensiero ogni volta che devo ricaricare le pile, lì che vado a cercare riparo, a nascondermi per rinascere migliore. E' il posto che mi ha salvato la vita qualche tempo fa, e prima ancora, quasi cent'anni fa, fu proprio New York a permettere alla mia famiglia di continuare ad esistere e a condurre una vita dignitosa.

Central Park pullula di sportivi in shorts che mi guardano male se accendo una sigaretta sulla panchina che ho scelto. Mi sento così bene lontano da tutto il resto del mio mondo, vicina solo al mondo al quale devo dimostrare poco, che non mi chiede nulla se non sorrisi e un paio di chiacchiere di circostanza. Questo è un posto speciale. Lo so che lo dicono in tanti, da sempre, a partire da Liza Minnelli ad esempio, ma per me è diverso. Come credo lo sia per ognuno, per ogni singolo essere vivente privilegiato che ha la fortuna di mettere piede su quest’isola dalla forma strana, di nome Manhattan. Semplicemente, me ne sto seduta su una panchina verniciata di fresco e ringrazio il cielo di essere qui: mi sento al centro del mondo. Non è desiderio di onnipotenza o bisogno assoluto di sentirsi "cool", grande, avanti a tutti, desiderio di essere protagonista a ogni costo, no. La mia è curiosità, ricerca di energia, apertura nuova al mondo, alla vita, a quello che il mondo può dare e darmi. Se lo so prendere. La città dove tutto vive non stop 24 ore al giorno, senza sosta, la città degli estremi, dell’eccesso, della follia, del bianco o nero, la città meno conformista al mondo in cui tutto è possibile e l’istante dopo tutto il suo contrario, la città che non conosce vie di mezzo, la città più come me al mondo.
Il sole splende, il cielo è terso, vedo spuntare il Plaza in fondo al parco e soprattutto il poster gigante che ricopre una delle sue pareti: rosa, le gambe di una bambina capricciosa che dice: “ I’m a city child, I live at the Plaza” . Non male penso. Il sogno americano che ha fatto fare follie a molti per decenni, non ha ancora smesso di funzionare. Non riesco nemmeno ad immaginare, l’assegno con il quale il pubblicitario, creatore, è stato pagato per realizzare il poster che ora ricopre il Plaza in questo momento. Inneggia alla vendita di suite e appartamenti che hanno ospitato in più di 50 anni le persone più importanti del mondo. Eppure penso, nonostante l’operazione di edilizia commerciale grandiosa e paragonabile a poche, per prestigio e unicità, hanno utilizzato l’immagine che evoca semplicemente un libro o un film non ricordo che racconta di una bambina ricchissima che viveva in una stanza d’albergo.
Come se fosse bello per un bambino crescere in una non casa, con persone di passaggio perennemente intorno. Eppure deve essere stato il sogno di molti devo dedurre, ricchi di tutto tranne che di famiglie e vite normali. La follia ancora una volta che si fa largo e diventa abitudine e routine, addirittura casa.
Vivere al Plaza oggi diventa possibile, diventa una realtà anche se costosa, possedere una suite del Plaza. E non è certo la stessa cosa dire “vivo in Park Avenue” dove gli appartamenti costano già milioni di dollari e dove nessuno al di sotto di un reddito da capogiro può vivere, rispetto a “vivo al Plaza.” E’ moda, è esclusivo, inspiegabilmente e irragionevolmente costoso al di là di ogni logica immobiliare.

La follia e la superbia umana, la perdita di ogni controllo, di ogni realtà. Perché la follia stessa diventa normalità. L’immagine, i soldi…quanti…tanti. La New York che attira anche per questo dopotutto. La New York di facciata, ricca e perbene, la New York buona dove c’è da fare, dove gli affari nascono e crescono, dove un sogno diventa un’idea, e l’idea prestigio, e il prestigio… una suite di proprietà al Plaza.

La New York che fa girare il mondo.

Back soon, again.





domenica 9 agosto 2009

Perchè "My best"

Riflettevo sul perchè di questo blog.. sul perchè l'ho chiamato così.
"do your best" è la frase che in assoluto credo di essermi sentita ripetere più volte nel corso della vita. "Fai del tuo meglio" sempre. Che poi ti amiamo lo stesso se non prendi il massimo dei voti, se non arrivi prima alle gare della scuola sport barilla...però... tu fai del tuo meglio, e poi andrà bene.
Ansie da prestazione infantili, competizioni e confronti dall'età della coscienza in poi. Ma non è poi stato così tremendo perchè alla fine erano stati sinceri a dirmi che mi avrebbero amata lo stesso perchè è andata davvero così. Ho avuto genitori indubbiamente onesti, il che mi rendo conto non è che l'ennesima delle tante fortune che ho avuto. Il dubbio è: avrò davvero fatto del mio meglio?
Autorisposte affermative a giorni alterni, crisi d'identità a cadenza trimestrale, un buon lavoro, stress a volte eccessivo. Lavori in corso in casa, una vita a due in costruzione, sguardo rivolto al futuro, un pensiero a tutto quello che mi ha portata qui, tanta voglia di vedere dove porta questa strada.
Quante come me... apparenti vite normali fatte di scelte condivise e accettate dalla pubblica opinione. Scelte di vita che non fanno notizia, anzi farebbe specie se non ci fossero. Eppure, assicuro, ci vuole un gran coraggio. Farò del mio meglio!